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Dalla scuola delle competenze alla scuola dei talenti

  • Novembre 4, 2025


La scuola deve compiere un cambiamento radicale, passando da un modello centrato sull’istruzione a uno fondato sull’educazione. L’istruzione, legata al concetto di competenza nato con il taylorismo, mira a rendere gli studenti funzionali e competitivi nel sistema produttivo. Tuttavia, la competenza riguarda solo l’acquisizione di abilità, mentre l’educazione sviluppa i talenti naturali di ciascuno, formando il carattere e favorendo la crescita interiore. L’aumento delle competenze non coincide necessariamente con un reale sviluppo umano. L’educazione, dunque, deve aprire il cuore prima della mente, come diceva Platone, e alimentare la passione e la speranza negli studenti, poiché – secondo Goethe – “si impara solo ciò che si ama”.

Oltre l’over-skilling

Il modello di scuola basato solo sull’istruzione non è più adeguato per due motivi principali.
Primo, l’era digitale ha generato il fenomeno dell’over-skilling: molte persone possiedono competenze cognitive superiori a quelle richieste dal lavoro, con effetti negativi come frustrazione e spreco di risorse. Inoltre, la rapida innovazione rende presto obsolete le competenze tecniche, mentre le abilità del carattere restano durature.
Secondo, l’avvento dell’intelligenza artificiale valorizza sempre più le abilità non cognitive — leadership, empatia, creatività, pensiero critico — necessarie per integrare tecnologia e giudizio umano. Studi recenti, come quello di James Heckman (2024), confermano che le imprese oggi danno più importanza alle character skills che alle abilità puramente cognitive. In questa direzione va anche la Legge italiana n.22 del 2025, che introduce nei percorsi scolastici lo sviluppo delle competenze non cognitive e trasversali, con l’obiettivo di promuovere lo sviluppo umano integrale dei giovani.

Direzioni consapevoli

La seconda ragione per cui la scuola non può più limitarsi all’istruzione riguarda l’impatto dell’Intelligenza Artificiale Generativa. A differenza della catena di montaggio di Taylor, che permetteva anche ai meno istruiti di partecipare alla produzione, l’IA esclude chi non possiede le capacità per usarla. Il suo valore dipende dalla qualità delle domande e dalla consapevolezza del pensiero umano che la guida: servono quindi immaginazione, spirito critico e plasticità mentale, frutti dell’educazione, non dell’istruzione.


Le studiose Crampton e Burke (2025) sottolineano che l’IA va integrata in progetti educativi che mantengano centrale la dimensione umana e spirituale. Tuttavia, la società continua a privilegiare le competenze prestazionali, spingendo i giovani a cercare riconoscimento solo nei risultati. Questo genera ansia da prestazione e perdita di identità personale: il soggetto diventa “funzionale a” un sistema, ma non si realizza come persona. Tale dinamica, simile a una forma di neo-taylorismo (anche nella gamificazione), produce individui efficienti ma interiormente frammentati, come descritto da Jonathan Haidt in La generazione ansiosa (2024).

Il dovere di rincuorare

Educare, oggi, significa nutrire il talento di ogni giovane, aiutandolo a riconoscerlo e valorizzarlo, poiché spesso non manca il talento, ma la fiducia in sé stessi. L’educazione serve proprio a sostenere, incoraggiare e far emergere questa voce interiore, richiedendo disciplina e la pratica delle virtù.


Sono tre tipi di rapporto tra maestro e allievo:

  1. quello distruttivo, in cui il maestro annienta l’allievo (come Pitagora con il suo discepolo);
  2. quello competitivo, in cui l’allievo distrugge il maestro (come Keplero con Brahe);
  3. quello reciproco e generativo, basato su fiducia e crescita comune, che è il modello auspicato.

Per realizzarlo, bisogna superare la visione cartesiana e positivista che separa fatti e valori, riconoscendo che l’educazione implica anche una dimensione etica e valoriale.
Seguendo Aristotele, le virtù non si insegnano, ma si imparano attraverso l’esempio dei “phronimoi”, le persone sagge e virtuose. La scuola, dunque, deve educare a vivere, insegnando ai giovani a prendersi cura di sé e degli altri, poiché – come ricorda Seneca – “si può stare al mondo o vivere davvero”.

Il ruolo del sapere

Se la scuola viene concepita solo come luogo di istruzione, è sufficiente un riferimento etico di tipo deontologico o utilitarista. Ma se la scuola deve essere soprattutto luogo di educazione e coltivazione dei talenti, allora occorre recuperare l’etica delle virtù di ispirazione aristotelica, reinterpretata in chiave moderna. In questo senso, il maestro non deve limitarsi a trasmettere conoscenze, ma anche a comunicare l’amore per il sapere e il suo significato umano, affinché l’apprendimento diventi parte integrante della formazione della persona.

( Fonte: sintesi tratta da Avvenire.it Dalla scuola delle competenze alla scuola dei talenti di Stefano Zamagni )

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